Una notte in Tunisia
Prosa al ridotto

Una notte in Tunisia

di Vitaliano Trevisan
con Alessandro Haber

messa a fuoco di Andrée Ruth Shammah

Spettacoli

mercoledì 21 novembre, 20:45Sala del Ridotto

Un classico contemporaneo, dove una delle penne più interessanti della drammaturgia italiana, quella di Vitaliano Trevisan, racconta - ispirandosi a Route el Fawar, Hammamet di Bobo Craxi e Gianni Pennacchi - gli ultimi giorni di vita di X, un uomo di forte carisma, il cui destino è determinato dalla sua natura, nella sua incapacità di essere quello che non è, tanto che preferisce affrontare la morte che fingere di essere un altro. X è solo con la propria famiglia, in un corpo a corpo con la parola scritta: quella che gli impedisce di tornare nel suo Paese e sperare di sopravvivere, quella stessa con cui non vuole rinunciare ad esprimere se stesso e che deve ossessivamente verificare.

Andrée Shammah, con Alessandro Haber, Martino Duane, Pia Lanciotti e Pietro Micci, conduce la messa a fuoco in un'atmosfera fortemente poetica per esaltare il rigore di un testo che pone l'identità e l'inesorabilità della natura umana di un individuo al centro della scena.

Un’indagine che si è imperniata sulla parola, letta e riletta, come i registi di una volta usavano fare durante le prove a tavolino, quando più che le intonazioni si cercavano i sentimenti e a chi vi assisteva appariva chiaro il perché dello spettacolo.
Gli attori di Una notte in Tunisia protraggono questa opportunità fino al palcoscenico, leggendo le loro parti. Shammah ha usato questo meccanismo di comprensione per attuare uno straniamento (si parte da un testo e si ritorna ad esso) ma nel contempo per restituire un aspetto enigmatico ai personaggi. Il protagonista si chiama signor X e vive in un esilio che è materiale ma soprattutto metafisico. A un certo punto appare una parrucca. Un classico del travestimento teatrale. C’era anche in Lulù e come là è il segno di uno smarrimento, di un’identità che viene smontata, sottratta al giudizio dello spettatore.
Ci sono una moglie e un fratello che sovrappongono lettura a lettura cercando d’interpretare i pensieri scritti dal signor X, diventati ormai una montagna di fogli sparsi. C’è un servitore, un altro classico del teatro. Ma sta al servizio dello spettacolo, al punto di dire le didascalie.
I personaggi dunque raccontano altro che sé. Una metafora del potere, è stato scritto. Ma lo spettacolo non insegue un’astrazione, anzi ciò che mette a fuoco è il dramma di un individuo e delle persone che gli stanno vicino, dove l’incalzare della malattia che corrode il suo corpo corre parallelo alla corrosione del corpo sociale, della politica.
Dice, alla fine, il signor X: “Ho visto morire uomini, idée, principi, costumi, ogni giorno vedo morire il mondo”.
Ancora una volta la prassi di Andrée Ruth Shammah è di portare in scena il pensiero.

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