W. S. Tempest

Teatro del Lemming
PRIMA ASSOLUTA

Teatro del Lemming
con Chiara Elisa Rossini, Diana Ferrantini, Maria Grazia Bardascino, Katia Raguso, Marina Carluccio, Alessio Papa, Boris Ventura, Alessandro Sanmartin
elementi scenici Luigi Troncon
drammaturgia, musica e regia di Massimo Munaro
produzione Teatro del Lemming

PRIMA ASSOLUTA

WS TEMPEST PREVEDE UN DIRETTO COINVOLGIMENTO DRAMMATURGICO E SENSORIALE DEGLI SPETTATORI.
SI INVITA PERTANTO IL PUBBLICO A RECARSI ALLO SPETTACOLO CON SCARPE E ABITI COMODI. LO SPETTACOLO PREVEDE L'INGRESSO DI MAX 50 SPETTATORI A REPLICA. E' CONSIGLIATA LA PRENOTAZIONE.

Spettacoli

venerdì 7 ottobre, 20:00Basilica Palladiana
venerdì 7 ottobre, 22:30Basilica Palladiana
sabato 8 ottobre, 20:00Basilica Palladiana
sabato 8 ottobre, 22:30Basilica Palladiana
domenica 9 ottobre, 20:00Basilica Palladiana
domenica 9 ottobre, 22:30Basilica Palladiana

A teatro attore e spettatore provano e riprovano l’incontro con la catastrofe: la morte. Si abituano, si esercitano a pensarla. Siamo a teatro è tutto finto. Siamo a teatro è tutto vero.

Con questo lavoro completiamo un ciclo di spettacoli shakespeariani, denominato Trilogia dell’acqua, iniziato con Amleto e proseguito con Giulietta e Romeo - lettere dal mondo liquido. Questi lavori propongono una riflessione sul conflitto, eternamente attuale, fra individuo e potere. Così come il Principe di Danimarca non trova gli strumenti per opporsi alla corruzione e al marciume della Corte, ecco che nella tragedia dei due giovani innamorati è il contesto sociale ad impedire il loro amore e a condurli alla morte. Infine ne La Tempesta, Prospero, ingiustamente spodestato e costretto all’esilio, realizza la sua rivincita che non conduce alla vendetta ma, per una volta, alla riconciliazione e al perdono. Il perpetuarsi della violenza sembra così finalmente avere termine.

Rispetto ai tre capolavori shakespeariani, questi spettacoli non sono tanto fedeli alla parola dei testi, da cui pensiamo il teatro debba affrancarsi, quanto ai nuclei archetipici che da essi riverberano in modo ancora ustionante. In particolare abbiamo visto ne La Tempesta il racconto di un naufragio che avviene, prima di tutto, nella mente del protagonista. È come se lo stesso Shakespeare, nella figura di Prospero, dal fondo del mare, rievocasse, come in un delirio, gli infiniti personaggi delle sue opere: Amleto, Giulietta, Macbeth, Lear, Riccardo, Bruto tornano a visitarlo. Queste figure rappresentano anche frammenti, parti di un’identità composita che è quella del poeta, quella di tutti. Il naufragio nella memoria di Prospero/WS è anche un naufragio nella nostra mente.

Gli spettacoli di questa trilogia sono inoltre, ciascuno a suo modo, riflessioni metateatrali. Sviluppano cioè tre possibili ricerche intorno al senso e al modo di fare teatro oggi. A che cosa serve il teatro? È un semplice spazio di intrattenimento o può ancora essere uno strumento efficace per prendere in trappola la coscienza del sé? Questi lavori invitano a prendere parte, a schierarsi. Perché il teatro può rappresentare ancora un’esperienza radicale, fondarsi, come accade in WS Tempest, su una nuova nozione di spazio, utilizzando tutti i piani possibili e tutti i gradi della prospettiva. Il teatro, inoltre, può tornare a pensare allo spettatore come parte costitutiva della sua drammaturgia: qui gli spettatori, come già in Shakespeare, sono coautori del dramma. Lo sono per la loro presenza viva ed attiva, lo sono perché sta a loro ritessere il logos attraverso il filo della propria esperienza. Se l’essenza di un romanzo è quella di raccontare una storia, io penso debba appartenere al teatro una diversa vocazione, che è quella di illuminarci e di sorprenderci con le immagini, di perturbarci coi suoni e con le parole, con visioni ed enigmi. Il teatro sotto il segno di Dioniso, da cui sorge anche il teatro shakespeariano, fa infatti appello a delle forze oscure, primigenie, inconsce, notturne, che non si comprendono con la logica diurna, e che ci chiedono di abbandonarci alle emozioni, di lasciarci travolgere dalla tempesta di quel mondo onirico, che non capiamo, ma da cui siamo sorti e da cui, come fantasmi del teatro, siamo tutti, come Prospero, destinati a tornare. Abbiamo, infine, accettato questa sfida, nonostante condizioni per noi piuttosto difficili ed onerose, come segno di gratitudine verso una città che ci ha accolto in questi ultimi due anni, nel nostro piccolo esilio, con grande generosità. L’isola di Prospero per noi è questa Basilica, è Vicenza, è il teatro.

Massimo Munaro

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